FIGLI IPERCONNESSI:COME COMPORTARSI?

Essere genitore oggi richiede anche una conoscenza digitale perché si deve sapere cosa stanno facendo i nostri figli online e a cosa si stanno interessando. Proibire l’uso delle nuove tecnologie non serve. Serve invece comprendere ed essere curiosi verso i loro interessi e dialogare con loro sul tema.

In un recente articolo della Società Italiana di Pediatria (Bozzola et. Al. del 2018), i pediatri italiani raccomandano:

  • Di non dare ai bambini strumenti digitali prima dei due anni,
  • Di consentirne l’utilizzo per un’ora al giorno a partire dai cinque anni,
  • Di raddoppiare il tempo di fruizione dagli otto anni in su,
  • Di mantenere la supervisione sull’utilizzo.

La tecnologia non ha lo scopo di calmare o distrarre i bambini, né deve servire come “pacificatore emotivo”, perché ciò limita lo sviluppo della regolazione delle emozioni dei bambini.

Gli psicologi ed i pediatri consigliano di non regalare lo smartphone ai ragazzi prima dei 13 anni perché può interferire con il loro sviluppo psicologico.

L’utilizzo di questi dispositivi per più di due ore al giorno è stato associato anche all’aumento del peso corporeo e a problemi comportamentali. Possono risentirne il sonno e la vista, l’udito, il rendimento scolastico, lo sviluppo del linguaggio e della socializzazione. Si raccomanda di proibirne l’uso durante i pasti o prima di andare a dormire.

L’uso del cellulare attiva un complesso processo biochimico, che comporta la stimolazione di alcuni neurotrasmettitori, in particolare della dopamina che è legata a sensazioni piacevoli ed euforizzanti. Pertanto, quando leggiamo un messaggio o vediamo un “mi piace” nei social network, il cervello rilascia una dose di dopamina.

Figli Iperconnessi

IL RUOLO DEI GENITORI

È importante che i genitori partecipino alle attività dei figli, che conoscano le persone e i luoghi che frequentano e, soprattutto, che sappiano che cosa fanno in rete. Devono avvicinarsi ai figli con curiosità, senza giudicare in anticipo e trovare il tempo per stare insieme.

Inoltre, devono favorire l’ampliamento del campo di amicizie, anche al di fuori della sfera scolastica, e le attività che aiutano a rafforzare l’autostima e la consapevolezza, come per esempio sport di squadra, arti marziali, ecc.

I genitori devono educare i figli all’uso consapevole degli strumenti tecnologici soprattutto con l’esempio. È fondamentale stabilire momenti di distanziamento (detox) dalle nuove tecnologie in cui si abbandonano i dispositivi elettronici e si torna al contatto fisico, condiviso da tutti i membri della famiglia tramite il gioco, i lavori manuali, le gite, ecc.

È infine importante che i genitori facciano rispettare le regole stabilite, negoziate e concordate, sull’uso corretto e consapevole della tecnologia.

Interrogarsi, osservare e domandare è il modo migliore per capire i propri figli.

Bibliografia:

  • Lavenia G. (2019). Mio figlio non riesce a stare senza smartphone. Giunti Edu.

Contatta la dott.ssa Vanesa Rojas al cell: 339.250.9358

PREADOLESCENZA: CONSIGLI PER I GENITORI

Molti genitori si sentono spiazzati e impreparati quando i loro figli entrano nella preadolescenza.

COS’È LA PREADOLESCENZA?

La preadolescenza è una fase dell’età evolutiva, compresa tra gli 11 ed i 14 anni, ricca di trasformazioni e cambiamenti fisici, psicologici e sociali che incidono sullo sviluppo della personalità.

È un’età intermedia nella quale i figli non sono più bambini ma non sono ancora ragazzi nel vero senso della parola ed è caratterizzata da questi aspetti:

  • LIVELLO FISICO: Il corpo del bambino si trasforma gradualmente in un corpo quasi da adulto, con aumento dell’altezza e la maturazione degli apparati genitali.
  • LIVELLO PSICOLOGICO: Il bambino inizia a creare uno schema non solo delle emozioni, ma anche dei comportamenti leciti e quelli da evitare.
  • LIVELLO SOCIALE: L’interesse si sposta dai genitori agli amici che, progressivamente, diventano il loro punto di riferimento.

È un passaggio in cui i figli vogliono provare a fare da soli, avere più autonomia e mettersi alla prova sia in famiglia che nel proprio gruppo di pari.

Il bambino-ragazzo possiede già adeguate risorse cognitive, ma sul piano emotivo non ha ancora uno sviluppo adeguato; da un lato vorrebbe tornare alla sicurezza di quando era bambino e dall’altro si sente spinto verso una maggiore autonomia.

IL RUOLO DEI GENITORI

In questa fase è importante aiutare i propri figli, con adeguatezza ed efficacia, a regolare le loro “esondazioni emotive”, sostenendoli nella crescita, affidandogli maggiori responsabilità e più autonomia nel gestirle.

Richiede che i genitori stiano al passo con questo processo, modificando i propri schemi di comportamento, cambiando strategie e mettendosi in gioco profondamente.

In questa fase, la sfida per i genitori è:

  • Riconoscere ed accettare che il figlio è in grado di fare alcune cose da solo;
  • Avere fiducia che il ragazzo possa farcela ad organizzarsi;
  • Ampliare gli interessi del ragazzo, stimolandolo a mettersi alla prova e ad esplorare con lui le diverse attività a cui si appassiona;
  • Motivare il ragazzo a frequentare amici per allenare la sua capacità di stare con gli altri;
  • Stimolare il dialogo, approfittando dei momenti nei quali hanno voglia e desiderio di farlo, e mantenere una certa discrezione rispetto alla sua privacy;
  • Mantenere un equilibrio tra divieti e permessi, dandogli fiducia.

Più aumentano gli impegni e le sfide per i figli, meno dovrebbero essere coinvolti i genitori, limitando il loro ruolo solamente alla “supervisione”, perché ora in trincea c’è il preadolescente.

I ragazzi preadolescenti vogliono essere diversi dai genitori e distinguersi da loro; iniziano così a marcare i propri confini.

Criticare, opporsi, rifiutare le idee dei genitori sono modi per affermare sé stessi e, tutto questo, forma parte della preadolescenza.

Bibliografia:

Pellai A. & Tamborini B. (2017).  L’ età dello tsunami. Edizioni: De Agostini.

Novara, D. (2019). Organizzati e felici. Bur Rizzoli.

Contatta la dott.ssa Vanesa Rojas al 339-250.9358

COME LA NOSTRA STORIA PERSONALE CONDIZIONA IL MODO DI ESSERE GENITORI

Ciascuno di noi possiede una propria storia di figlio che è necessario tenere presente quando si diventa genitori. È importante iniziare da qui per costruire un modo unico di essere padri; questo processo dura tutta la vita, il “bambino interiore” ci accompagnerà sempre nel ruolo genitoriale.

Le ricerche psicologiche indicano che il nostro modo di reagire alla vita è condizionato dagli ingranaggi del sistema emotivo che abbiamo costruito nella prima infanzia, attraverso la relazione con i nostri genitori.

Lo psicologo britannico John Bowlby (1983), padre della “Teoria dell’Attaccamento”, segnala che il bambino nasce con una predisposizione naturale a sviluppare un attaccamento per chi si prende cura di lui: l’attaccamento avrebbe due funzioni, quella biologica di proteggere il bambino e quella psicologica di dargli sicurezza.

Per questa ragione, il tipo di attaccamento che sviluppiamo da adulti dipende da come le nostre figure di riferimento nell’infanzia hanno agito rispetto ai nostri bisogni di essere visti, protetti e confortati. La presenza o l’assenza di attenzione sotto questi aspetti da parte degli adulti può generare diversi tipi di attaccamento:

  • Attaccamento Sicuro: ll bambino considera l’adulto che si prende cura di lui come un rifugio a cui tornare ogni volta che si sente in pericolo o minacciato da qualcosa. I genitori sono emotivamente disponibili e ricettivi.
  • Attaccamento Evitante: I genitori sono poco attenti alle esigenze del bambino e poco affettivi con lui, creandogli così una disconnessione dagli adulti e anche dalle proprie emozioni.
  • Attaccamento ambivalente: I genitori non sono un porto sicuro e riversano sui figli i propri vissuti emotivi, senza rispettare i confini, tendendo così a confondere il bambino.
  • Attaccamento disorganizzato: I genitori sono fonte di paura e creano nel bambino una frammentazione che lo rende molto vulnerabile. Questo tipo di attaccamento limite riguarda situazioni di trauma, di abusi o di grave trascuratezza.

Il tipo di attaccamento che avete vissuto avrà un ruolo importante nelle vostre scelte, nei vostri comportamenti e nel modo di essere con sé stessi e, ovviamente, nel legame con i figli.

A volte capita che i genitori discutano in modo accesso con i figli. Ciò avviene quasi sempre perché si attiva un conflitto tra il “bambino interiore” del genitore e l’adulto che è oggi, si innesca così un processo che annulla la capacità dell’adulto di agire con consapevolezza.

Perciò quando un figlio vi spinge ad avere reazioni molto forti, pensate: Perché mi sono arrabbiato così tanto? Perché mi sono sentito minacciato? Forse, si stanno attivando vecchi meccanismi, ancora irrisolti, che hanno a che fare con il passato e i vostri vissuti dell’infanzia.

I genitori devono essere pronti a fare i conti con le proprie storie personali, guardarsi dentro e capire quali sono state risolte e quali no, con l’obiettivo di essere padri più sicuri, più calmi e di conseguenza migliori. Insomma, con i figli i genitori devono dare il meglio, pur essendo consapevoli che i passi falsi sono inevitabili.

Non è mai troppo tardi per prendersi cura delle proprie insicurezze e per cambiare i propri schemi.

Bibliografia:

Pellai A. & Tamborini B. (2017).  L’ età dello tsunami. Milano: De Agostini.

Bowlby, J. (1983). Attaccamento e perdita, 3: La perdita della madre. Torino: Boringhieri.

Contatta la dott.ssa Vanesa Rojas al 339-250.9358

INSEGNARE LA PAZIENZA, IMPARARE AD ATTENDERE

Sappiamo che in certi momenti non è facile mantenere la pazienza. Quante volte i bambini dicono: “Ho fame, è pronto il mangiare?” “Tra quanto finisci?” “È mio, dammelo, lo voglio!”

Spesso i bambini vogliono tutto e subito, non hanno la capacità di attendere, di tollerare la frustrazione, non riescono a rispettare i tempi e di conseguenza si arrabbiano e fanno i capricci.

Affinché il bambino si abitui a rispettare i nostri tempi, è molto importante non soddisfare subito ogni richiesta del bambino.

La pazienza e la capacità di aspettare non sono innate, si acquisiscono durante la crescita e con una corretta educazione.

IMPARARE AD ATTENDERE

A QUALE ETÀ IL BAMBINO PUÒ IMPARARE AD ATTENDERE?

Nei primi tre anni di vita i bambini non sanno aspettare, sono impazienti, hanno un senso del tempo completamente diverso dal nostro, vivono nel qui ed ora. A questa età, predomina l’emisfero destro del cervello che guida il comportamento creativo e irrazionale del bambino ed è responsabile dello sviluppo dell’intuizione, dell’empatia, della creatività e dell’immaginazione.

Comunque, dopo il primo anno di vita, il bambino, con l’aiuto dei genitori, può iniziare piano piano a imparare ad essere paziente, ad aspettare e a tollerare piccole frustrazioni.

Fino ai 3 anni il bambino risponde agli stimoli in modo impulsivo. Solo dopo i 3 anni, con lo sviluppo funzionale dell’emisfero sinistro del cervello, emergono gradualmente le capacità di ragionare, riflettere e prevedere le conseguenze delle proprie azioni. Tale capacità si sviluppa grazie all’esperienza e al rapporto che il bambino ha con i genitori e le figure di riferimento.

Educare il bambino ad essere paziente favorisce il suo autocontrollo, il rispetto delle regole, la calma, la gestione delle emozioni, la tolleranza e lo aiuterà ad affrontare meglio le difficoltà.

In questo processo, il ruolo dei genitori sono fondamentali, perché i bambini imitano il comportamento dei genitori. Bisogna ricordare inoltre che i bambini piccoli hanno ritmi legati ad aspetti fisiologici quali: sonno, fame, ecc. e questi aspetti devono essere tenuti in considerazione quando gli insegniamo a gestire l’attesa.

Un altro punto importante è insegnare al bambino ad aspettare e a chiedere le cose in modo educato, spiegandoglielo con un tono di voce tranquillo, ma con uno sguardo deciso.

Per aiutare questo processo educativo, si possono proporre delle attività dove l’attesa può essere un evento piacevole e di gioco, come ad esempio piantare un seme, leggere un libro, ecc. oppure si può utilizzare un timer o una clessidra per indicare che il bambino potrà ottenere ciò che aveva chiesto quando il tempo sarà scaduto.

Quando siamo fuori casa e l’attesa è più lunga, è utile portare degli oggetti (libricini, giochi, ecc.) per gestire meglio l’attesa.

Dire al bambino “aspetta due minuti” risulta inefficace, è meglio usare il termine “dopo”. È utile anche spiegargli in anticipo bene cosa succederà e che dovrà aspettare un po’. Ad esempio, possiamo dire, “potrai giocare dopo colazione” oppure “quando tuo fratello finirà di disegnare, potrai prendere le matite”.

Infine, bisogna lodare il comportamento del bambino quando è stato “paziente” in modo tale da rafforzare questa condotta.

Ogni situazione può essere valida per insegnare ai bambini ad essere pazienti. Alleniamoci!

Contatta la Dott.ssa Vanesa Rojas al 339-250.9358